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L’impatto della demografia sulle pensioni

Il sistema pensionistico italiano presenta sempre maggiori squilibri e si discute molto spesso di riformare il sistema. Alcune problematiche di natura demografica restano però strutturali.

Anche dopo l’introduzione del metodo di calcolo contributivo, il nostro sistema pensionistico resta ancora in larga parte un sistema “a ripartizione”. In Italia il metodo di calcolo contributivo è stato esteso a tutti i lavoratori a partire dal 1° gennaio del 2012, ma questo metodo è solo nominalmente un sistema a capitalizzazione. In realtà, anche in questo tipo di sistema i versamenti effettuati da chi lavora non vengono materialmente accantonati, ma vengono utilizzati per pagare direttamente le prestazioni degli attuali pensionati. Questo significa che il sistema resta fortemente condizionato da diverse variabili economiche e demografiche. Le dinamiche pensionistiche italiane si reggono su delicati equilibri, sempre più traballanti. Tutto il sistema è infatti influenzato dal livello di occupazione, dall’andamento del PIL e da importanti questioni demografiche come il tasso di natalità, il tasso di invecchiamento della popolazione e, non da ultimo, il rapporto tra popolazione attiva e pensionati.

 

Squilibri sempre più accentuati

Negli ultimi anni il sistema pensionistico italiano ha vissuto violenti scossoni, dovuti a uno sfortunato incrocio di fattori economici e demografici che ha portato a una perdita d’equilibrio molto preoccupante. Le uscite superano infatti di gran lunga le entrate. Il numero dei pensionati, infatti aumenta costantemente. Inoltre, le prospettive di vita tendono ad allungarsi sempre di più. Eppure, allo stesso tempo diminuisce il numero dei lavori e quindi anche le entrate contributive. Il rapporto tra pensionati e popolazione attiva attualmente è stimato intorno al 36,42%. Questo significa che per 1 pensionato ci sono circa 3 lavorativi attivi. Le previsioni per i prossimi anni sono ulteriormente drammatiche. In meno di 20 anni, nel 2040 circa, il rapporto tra pensionati e popolazione attiva potrebbe toccare il 65%. Questo vorrebbe dire che ci sarebbero 2 pensionati ogni 3 lavoratori attivi. Secondo la Ragioneria generale dello Stato, nel 2048 verrà raggiunto il picco del rapporto tra il numero di pensioni e il numero di occupati, toccando la percentuale del 94,2%. Da questa da data in poi è previsto un progressivo calo. Nel 2020 la spesa per le pensioni ha toccato il record del 17% sul PIL. Si stima che resterà sopra la soglia del 16% almeno fino alla fine degli anni Quaranta.

 

Riformare il sistema?

Si è cercato di porre rimedio a questi squilibri attraverso degli strumenti tradizionali, mettendo quindi ripetutamente mano alle regole del sistema pensionistico italiano. Si è provveduto a innalzare l’età pensionabile, ad aumentare dove possibile la contribuzione e a modificare l’importo delle pensioni.
Per cercare di fermare questo squilibrio sono stati presi provvedimenti molto dibattuti, uno su tutti la riforma Monti-Fornero, attualmente ancora in vigore, a causa del perdurare della congiuntura socio-economica che ne è alla base. Si discute molto del suo superamento, ma il persistere di così tanti fattori avversi ha paralizzato ogni tentativo di riforma.

 

Fattori demografici impossibili da ignorare

Il problema di fondo sta nel fatto che qualsiasi tentativo di riforma del sistema risulterebbe debole in un contesto socio-economico come quello attuale. L’imperativo dovrebbe essere quello di agire direttamente sui fattori economici e demografici alla base del sistema pensionistico.
La popolazione italiana tende a invecchiare. Nel 2020 gli italiani over 65 erano il 23,24% della popolazione totale. Si stima che nel 2050 saranno il 38,7% della popolazione.
Inoltre, l’Italia vive un calo demografico molto significativo. In Italia nel 2019 sono nati 435.000 bambini, il numero di nascite più basso mai registrato dall’Unità d’Italia. Sempre nello stesso anno, il saldo con il numero dei decessi è stato negativo: -212.000 unità. L’immigrazione ha portato un aumento di +143.000 unità, ma questo non è sufficiente a invertire la rotta.
Si aggiunge anche il fatto che l’Italia ha un tasso di fecondità tra i più bassi d’Europa. Una donna italiana ha in media 1,29 figli. Peggio di noi solo Malta e Spagna. Secondo le stime, solo con tasso di fertilità di 2,1 figli per donna la società potrebbe avere la possibilità di mantenere salda la sua struttura. Senza un’inversione delle tendenze demografiche, sembra impossibile risolvere i problemi strutturali del sistema pensionistico italiano.

Photo Credits:
Foto di kamiel79 per Pixabay

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